Elogio lirico della carta; stesa, accartocciata, crepitante, irradiante bagliori, divenuta ininterrotta sequenza di vibrazioni rassodate di luce. La carta come scenografia di uno spettacolo del reale, drammatizzazione ed elegia di frammenti di quotidianità.
Nella recente pittura di Rosanna Morettin la carta fa da protagonista e da comprimaria, è portata teatralmente in primo piano e anima gli sfondi, materializza gli oggettti caricandosi di una pluralità di valenze formali, si trasfigura in apoteosi visionaria.
Forse in queste opere traspare qualcosa degli studi e dell'esperienza di stilista di moda compiuti dall'artista udinese per un lungo periodo a Torino e a Roma, riflessi nel gusto pieno per lo svolgersi e il dipanarsi morbido e voluttuoso di stoffe e tessuti. E si rinviene in esse anche una qual radice barocca; echi reinterpretati con linguaggio moderno di struttura solida ed articolata, irta spigolosa e frastagliata, in cui la materia compone volumetrie di scendenza quasi cèzanniana.
Negli accordi dei fogli ammucchiati in vitale disordine, innervati dinamicamente da un incriociarsi e urtare e infrangersi di linee è come se rivivessero gli svolazzi dei panneggi nelle statue del Bernini, quel loro annodarsi e sciolsersi e increstarsi e vorticare turbinoso, quel condensare nella pietra i refoli di un vento sbarazzino che rende incantevoli i tramonti romani e fa rifulgere ali di angeli sui cornicioni. L'inarcarsi e dispiegarsi e scorrere dei piani mima il ruscellare dei marmi, lo scrosciare d'acque e di sorgenti, il chiacchericcio gorgogliante delle fontane.
Carta è il nucleo germinale dal quale sbocciano mazzi di fiori che paiono origami composti di spezzoni di veline colorate - e sono magnolie, cardi, girasoli -o veleggiano e si ammassano uno sull'altro tetti candidi composti da uno sfarfallio di pagine intense sparpagliate dalla bora di primavera o si rincorrono grumi di casette nere come di ritagli intinti d'inchiostro.
Una finestra con i vetri infranti sostituiti da fogli d'imballagio e da pagine di giornali si sublima, nella fantasia di Rosanna Morettin, in una sinfoniaa di riquadri chiari e scuri, bianco-cilestri e neri, ocra e bruni. E sul ripiano rosso e giallo di una tavola, le salviette spiegazzate intessono dialoghi arcani.
Le partiture cromatiche, che nella precedente produzione della pittrice apparivano fratte, scheggiate, a cunei, a serpentine, a tacche, a quadrature irregolari, ora risultano più fuse e armonizzate, più tenui e insieme fragranti e trasparenti, disarticolate e ricomposte come in un gioco complesso di rifrazioni. Un innesto, insomma di leggerezza, di riflessivo incantamento.
In altri casi, invece, il foglio irrompe con forza nell'opera, solitario e aggressivo, fantasmatico e allusivo d'inquietudini, sussulti, turbamenti. E' un'ala selvaggia, biano rosata e azzurra, grigia, ferrigna che fende lo spazio, lo annoda, lo travolge. E' una contorsione e un grido. L'immagine sfiora l'astrazione senza peraltro dissolversi in essa. Il contatto con l'oggettività permane ed è una sorta di richiamo alla concretezza esistenziale, risponde al desiderio di un rapporto, per quanto trafigurante, con l'incantesimo delle cose.
Se un richiamo ai maestri del Novecento, ai quali Rosanna Morettin ha in più occasioni guardato, può essere individuato, esso va colto - direi - nelle Carte dipinte negli anni Cinquanta da Corrado Cagli, mosse da un estro sperimentale e da una ricchezza tecnica intesa come procedimento magico - inventivo. Una sorta di assolutezza totemica che la pittrice udinese mantiene su un livello di "domestica" colloquialità, ricca peraltro di sottile e stupefatta poesia.
Licio Damiani